Piccole Bugie Tra Amici

Guillaume Canet è da sempre acclamato in patria come (eterno) enfant prodige del cinema, dalla carriera internazionale e dalle relazioni sentimentali patinate (vedi il matrimonio con Diane Krueger).

Per il pubblico italiano, invece, è famoso soprattutto per ruoli in cui spesso interpreta la parte del francese spocchioso ed irritante.
Mentre in “The Beach” veniva abbandonato dalla fidanzata che gli preferiva il ben più fascinoso Leonardo Di Caprio, in “Last Night” riconquistava la sua ex Keira Knightley, anche se solo per una notte.

Con “Piccole Bugie Tra Amici”, sua terza opera, il cineasta francese punta sul cinema corale che strizza l’occhio a “Il Grande Freddo” di Laurence Kasdan (1983) per raccontare ossessioni, paure e difetti di un gruppo di quarantenni alto borghesi che si ritrova durante la consueta vacanza estiva a Cap Ferret.

Piccole Bugie Tra Amici

Piccole Bugie Tra Amici

Nonostante la trama appaia fin dall’inizio scontata ed il finale prevedibile, la pellicola non ha mai cadute di stile nè battute d’arresto grazie al sostegno di montaggio, scenografia e fotografia impeccabili e di un ottimo cast che raccoglie i migliori attori d’oltralpe dell’ultima generazione.

Unica eccezione è data da Marion Cotillard, solitamente straordinaria, ma qui in un’interpretazione opaca e un po’ svogliata. Nei panni di una single impenitente e fricchettona, che vive nella classica mansarda parigina tra fotografie di viaggi in Amazzonia e l’immancabile canna prima di addormentarsi, sembra aver accettato la parte solo per non dispiacere al compagno Canet.

Il regista di “Mon Idole” non riesce a trovare il distacco sufficiente per criticare con sano cinismo ed intelligenza i disturbi bipolari dell’ elite a cui lui stesso appartiente, ma si limita a descriverli in maniera quasi compiaciuta come se essi rappresentassero un vero e proprio status sociale.

L’attore playboy, il tizio noioso appena lasciato dalla fidanzata storica, il prestante fisioterapista che si scopre gay (?), il ricco più ricco di tutti che non può fare a meno di rimarcare la sua generosità: ecco sfilare i ritratti stilizzati di personaggi annoiati dalla vita perchè dalla vita hanno già tutto, infelici ma incapaci di cambiare e rinnovarsi così come di ascoltare gli altri, autistici nel loro egoismo.

Mentre le tensioni nei rapporti si acuiscono e gli equilibri rischiano di saltare, la “serena” villeggiatura non esita però a proseguire mentre tutti si sono dimenticati di essere partiti lasciando in ospedale in fin di vita uno dei loro migliori amici, l’ottimo Jean Dujardin, fresco di Oscar…

Anche il finale incappa in qualche errore: nel tentativo di renderlo una sorta di punizione o lezione di vita, Canet ne ricava un momento di commozione quasi stucchevole che si protrae fin troppo a lungo rischiando di non dare alcuna risposta, né di trasmettere alcun messaggio.

Voto 2,5/5

Elisabetta Baou Madingou

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